FEDERICO IARLORI: SE UNA NOTTE A PARIGI, UNA TEDESCA E UN…ABRUZZESE

Ho “conosciuto” Federico Iarlori quando mi sono trasferita in Francia perché Francesca mi parlò della web-serie Ritals. Poi lo “conobbi” attraverso i social, essendo entrati in contatto su Facebook. Infine ci siamo incontrati, per caso, a Strasburgo una giornata di sole, ed abbiamo iniziato a chiacchierare come se ci fossimo lasciati il giorno prima al bar… Forse l’essere Abruzzesi ci ha fatto subito sentire simili in terra straniera. Forse è stato l’essere entrambi parte di una “famiglia europea”.

In pieno lockdown esce il suo primo romanzo “Se una notte a Parigi, una tedesca e un italiano” (Giunti), in cui Federico Iarlori racconta di come “dovrà fare i conti con le sue nuove responsabilità di padre e la sua innata attitudine alla fuga.” Usando la “voce fresca e divertente di una generazione in bilico tra la nostalgia di un passato che non esiste più e le audaci sfide di un futuro incerto. La storia vera di un italiano all’estero, moderno e multiculturale ma con l’ansia da prestazione”. 

Viste queste premesse non abbiamo potuto fare a meno di intervistarlo.

Caro Federico, raccontaci, cosa ti ha spinto a lasciare la splendida Ortona per andare a Parigi?

Prima di approdare a Parigi ho fatto tappa a Milano, a dire il vero. Ma sapevo che sarebbe stata solo una parentesi. Fin da quando ero ragazzino sognavo di andare a vivere a Parigi e di sposare una francese. Ora mi ritrovo con una tedesca e soprattutto con tanta nostalgia del mio “paesello” e soprattutto del mio mare.

Chi l’avrebbe mai detto? Non so quanto pagherei, oggi, per avere la qualità della vita che c’è a Ortona.

Sei stato, e sei, uno dei protagonisti della serie Ritals. Come è nata questa serie, e cosa vi ha spinto a crearla?

Ho conosciuto Svevo (l’autore della web serie, ndr) in un call center nella periferia di Parigi. Molti di noi erano “artisti” mancati, costretti a fare quel lavoro per sbarcare il lunario. Quando ho visto i suoi cortometraggi – molto molto belli -, gli ho proposto di coinvolgermi in qualità di attore in un suo progetto, perché ho sempre adorato stare davanti a una telecamera, malgrado non abbia mai studiato recitazione.
Così nacque “
Intibah“, un mediometraggio (dura 50 min.) che si può ancora vedere su Internet. Quel film fu un flop in termini di audience, ma ricevemmo molti complimenti perché il duo comico funzionava a meraviglia.

Svevo ha quindi avuto l’idea di ritentare l’esperimento mantenendo il duo, ma adottando una forma più snella, più adatta al web. E così è nato il primo episodio di “Ritals”, “Il bidet“. Quel video ebbe un successo travolgente e inatteso e così siamo stati “costretti” a raccontare in maniera divertente e autoironica le nostre disavventure da espatriati a Parigi per più di quattro anni, ormai.

Parliamo del tuo libro “Se una notte a Parigi, una tedesca e un italiano”. Puoi raccontarci di cosa parla, e cosa ti ha spinto a scriverlo? 

Quando è nato il nostro primo figlio, che ora ha sei anni, avevo appena compiuto 30 anni e non potevo immaginare che la mia vita sarebbe cambiata in maniera così drastica. Sembra un peccato di ingenuità, ma nessuno dei miei amici o dei miei conoscenti era diventato papà e quindi non avevo la più pallida idea di cosa significasse. 

A maggior ragione non sapevo cosa significasse fare il casalingo: quando è nato Nils non avevo un lavoro e quindi mi sono quindi occupato di lui a tempo pieno. In preda alla frustrazione più totale, ho iniziato a scrivere per sfogarmi. Da quegli appunti è nato un blog – che si chiama “Il Mammo” – in cui raccontavo tutto ciò che trovavo insopportabile nel dover gestire un neonato e di doverlo farlo con una femminista tedesca in casa. 
Poi ho trovato lavoro e non ho potuto più aggiornare il blog, ma ho continuato a raccogliere materiale sull’argomento. Tutto questo materiale è confluito nel mio romanzo – “Se una notte a Parigi, una tedesca e un italiano” (Giunti) – assieme a tanti altri aneddoti, in particolare relativi agli eventi pregressi: alcuni episodi della mia infanzia, le mie avventure da espatriato in Francia e tutti i dettagli della relazione con la mia attuale compagna. 

Più che un romanzo è un’autofiction, o ancora un diario, o meglio ancora una confessione, ma piena di ironia. Diciamo che non mi piace prendermi troppo sul serio. 

In pratica, racconto cosa significa essere un padre casalingo a cavallo tra tre nazionalità diverse. C’è chi lo definirebbe un diario di Bridget Jones al maschile, secondo me, invece, mi spingo un po’ più in là. Ma lascio che siano i lettori a dirlo.

La tua nuova famiglia è internazionale e vivete in un paese terzo. Come ti ha cambiato e ti sta cambiando questa cosa in termini culturali?

La morale che mi piacerebbe venisse fuori dal mio libro è che l’Europa è meravigliosa. Non parlo delle istituzioni europee, perché non ne so nulla. Ma dei Paesi meravigliosi che la compongono. La morale è che l’unione fa la forza e che per quanto ci siano delle differenze tra un italiano, un francese e un tedesco, si dovrebbe cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. 

Vivere una vita a cavallo tra tre nazioni diverse, ti permette di applicare dei punti di vista diversi (e prima impensabili) su ciascun argomento, su ciascun elemento della vita quotidiana. Prima o poi si finisce per dire: su questa cosa siete meglio voi, su quest’altra cosa siamo meglio noi, su quell’altra ancora sono meglio gli altri – magari non è il caso di dire “sono meglio”, ma “preferisco”. Cioè, col tempo mi sto rendendo conto che ci sono delle abitudini, dei modi di pensare, degli atteggiamenti dei tedeschi o dei francesi che preferisco a quelli degli italiani. Non è scontato ammetterlo. 

Nello stesso tempo, imparo a valorizzare certe cose di casa mia a cui prima di lasciare l’Italia non davo alcuna importanza o davo per scontate. Credo che sia questa la famigerata “apertura mentale” di cui si parla tanto, cioè poter vedere una stessa cosa da punti di vista differenti che prima non consideravi.
Ciò, ovviamente, ti rende una persona diversa e fondamentalmente speciale, perché avere uno sguardo d’insieme ti dà una marcia in più in tutto. Non parlo tanto di me, che sono solo un testimone e faccio ancora parte del vecchio mondo, ma ovviamente dei miei figli. Detto questo, non credo che un bambino nato e vissuto a Ortona, senza aver mai visto nient’altro che l’Italia, se la passi così male. Anzi. Sono sempre per il bicchiere mezzo pieno, anche in questo caso.

La vita all’estero da una parte significa perdere molte certezze su se stessi e sul proprio modo di vedere il mondo, significa mettersi costantemente in discussione, rendersi conto che in fondo ogni punto di vista è relativo – ecco perché la persona nata e vissuta a Ortona probabilmente se la gode molto più di me.
Ma per quanto mi riguarda, volendo io fare lo scrittore, vivere all’estero ti impone un esercizio di osservazione e di riflessione sulle cose – anche le più insignificanti – che è essenziale. Essenziale non solo per scrivere delle storie originali, ma anche per stuzzicare il lettore, sfidarlo, metterlo alla prova, proponendogli una versione diversa di ciò che egli vede tutti i giorni pensando di aver capito tutto. Quando invece, spesso, non ha capito un cazzo.

Ora sei a Strasburgo, ma so che torni ogni tanto in Abruzzo. Quali sono i posti che non manchi mai di visitare, o che comunque ami?

Come ti dicevo, la cosa che mi manca di più da quando sono in Francia è il mare. Quando torno in Abruzzo – troppo raramente, purtroppo, perché ormai una parte della mia famiglia è in Germania – cerco sempre di ritagliarmi un po’ di tempo per andare “giù al porto”, come si dice da me. Anche in inverno. Preferibilmente da solo. Diciamo che è un modo per fare il punto della situazione, per fare il bilancio di ciò che è successo nei mesi precedenti a tu per tu con me stesso, guardando l’orizzonte.

Da quando ci sono i bimbi, sono meno mobile – ovviamente – ma quando torno a casa mi piace approfittarne per fare una scappata a Guardiagrele. È un paese che mi piace molto, dove posso respirare già l’aria di montagna, ma senza dover stare troppo tempo in macchina. A dire il vero, ci vado soprattutto per comprare le “Sise delle monache” che sono da sempre il mio dolce preferito. Unico e inimitabile. L’atmosfera che si respira lungo il corso di Guardiagrele, seduti in uno dei bar del centro, soprattutto nelle belle giornate di sole, è delle sensazioni che più mi ricordano casa. 

Ammetto che mi piacerebbe molto girare di più la mia regione, ma il tempo è sempre troppo poco, purtroppo. Non è escluso che mi rifarò presto!

Noi speriamo che Federico Iarlori possa, come tutti noi, presto ricominciare a viaggiare per le splendide vie abruzzesi. Nel frattempo ci immergiamo nel suo libro che, come dice Nicola Accardo su Rolling Stones: 
È un esordio brillante, un libro perfetto per chi è bloccato in un’eterna adolescenza”… 

Buona lettura!

Venusia 
Strasburgo, Maggio 2020
Foto ©Federico Iarlori